Era stato appena sistemato sugli scaffali. Ma ha fatto presto a scendere perché c’era un podio su cui salire, sul secondo gradino per la precisione: Spadafora 1915 porta a casa – e in cantina – la medaglia d’argento come “Miglior Novello d’Italia 2020” (a pari merito con la cooperativa pugliese Upal di Cisternino, Brindisi. Prima classificata, invece, la cantina Velenosi di Ascoli Piceno).

In un momento storico in cui dalle nostre parti dici “rosso” e tremano i polsi, l’enologia autoctona è riuscita a ritagliarsi una zona franca dove tirarsi su di morale, su come un calice che brinda alla salute, mai come oggi.

Spadafora è un racconto che comincia nel 1915 e basta chiudere un attimo gli occhi per vedere quanto lontano sia quel tempo. Anche mia nonna Rachele era del 1915 ed è vissuta fino ai 95 anni: occhi pieni di quasi un secolo di storia. Le guerre mondiali, la dolce vita, la televisione, i Ciripà. E poi il nuovo millennio, i dvd, i cellulari, i viaggi ad alta velocità. Un altro mondo, insomma. Eppure, mentre tutto cambiava, in quelle che poi sono diventate le Terre di Cosenza, Spadafora cominciava un lavoro destinato a farsi tradizione, l’unica capace di coniugarsi al passato, al presente e al futuro con una trama, spesso, scritta dal tannino.

È classe 1915 e non è certo un novellino, però è proprio il suo Novello che, annata dopo annata, torna protagonista in tavola. Sarà perché è giovane ed è un tipo da tutto e subito: questi vini, infatti, sono pensati e prodotti per un consumo a breve termine. Non c’è da riflettere o stipare in cantina: del vino novello è bello cogliere l’attimo con tutti i suoi profumi che sanno sì di giovinezza ma che risentono di una mano che produce con esperienza.

È un po’ come il mondo del lavoro: ti vogliono giovane ma con un folto curriculum. Fosse un professionista, dott. Novello farebbe una carriera brillante. Ma non è da giacca e cravatta: è un vino casual che se si versa sulla tavola lascia il segno che Omino Bianco vieni a me. È tipico, d’altronde, del suo genere: i novelli sono rubino intenso con riflessi violacei e lasciano traccia ovunque, nel bicchiere, al palato e poi nel cuore (pure nei concorsi, in effetti).

Il novello vince, e non solo agli occhi di una giuria tecnica, perché ha identità ed è di facile beva. Lo è per via del processo di vinificazione mediante macerazione carbonica che garantisce un profilo organolettico rispondente ai connotati del novello: la fermentazione, per dirla in pillole, consente all’alcool di estrarre una grande quantità di aromi sia dalla polpa che dalla buccia. Da qui i sentori fruttati e vinosi e da un maggior livello di glicerina la morbidezza del sorso.

Quello Spadafora 1915 è Magliocco dolce in purezza e respira cacao, ribes, ciliegia e lamponi: il principe del terroir si affaccia all’autunno con vista su taglieri di salumi e formaggi, crostini fumanti, spadellate di verdure di stagione. Un castello di colori e di sapori in tono con le note del rosso, insomma, per un racconto da tavola. E un vino da favola.

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